L’arte del selfie o autoscatti è diventata, negli ultimi anni, una componente fondamentale della nostra quotidianità digitale. Questa pratica, sebbene sembri moderna, affonda le proprie radici ben indietro nel tempo, risalendo addirittura al 1839 quando il fotografo Robert Cornelius realizzò quello che è considerato il primo autoritratto fotografico della storia. Da allora, molteplici personalità, dai cineasti come Stanley Kubrick agli icone della musica come Madonna, hanno esplorato le potenzialità espressive dell’autoscatto, trasformandolo in uno strumento di espressione personale e artistica. Con l’avvento degli smartphone, dotati di fotocamere frontali sempre più avanzate, realizzare un selfie è diventato un’azione quotidiana praticamente per chiunque possieda un dispositivo mobile.
la scienza dietro al selfie
perché l’autoscatto spesso ci delude
Nonostante la crescente qualità delle fotocamere frontali degli smartphone, molti si trovano insoddisfatti del risultato dei propri autoscatti, notando una differenza marcata rispetto all’immagine riflessa nello specchio. Il filosofo e scienziato Riccardo Azzali ha offerto una spiegazione a questo fenomeno nei suoi interventi social. Il problema risiede nella dimensione dell’obiettivo dello smartphone, generalmente non superiore ai 24 millimetri.
Per riempire il campo visivo con un obiettivo così piccolo, è necessario avvicinarsi al soggetto, generando una distorsione dell’immagine che può alterare la percezione della propria fisionomia. Azzali suggerisce che un’immagine realizzata con un obiettivo di dimensioni maggiori, come può essere quello di una macchina fotografica tradizionale con una lunghezza focale di 200 millimetri, risulterebbe più veritiera e fedele all’immagine che siamo abituati a vedere riflessa nello specchio.
Questa analisi getta luce sulla natura tecnica che influisce sulla nostra autopercezione nelle fotografie, dimostrando come la scelta del dispositivo fotografico possa avere un impatto significativo sul risultato finale dei nostri selfie.
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